Capodimonte

( M. 334 )

Nel 1462 Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini, recandosi a Capodimonte, nelle terre dei nobili Farnese, la descrive come luogo amenissimo: Da tre lati è lambito dal lago, sul quarto è protetto da un fossato e da una rocca assi bene fortificata…La scarpata, nei punti in cui non ci sono rocce di selce, è piantata a vite ed alberi da frutta. C’è un viottolo che scende, quasi una scalinata, sino al lago e qui, fra pietre irregolari e scogli dirupati crescono parecchi lecci sempreverdi, che formano un boschetto molto gradito ai tordi…Dalla rupe parte un viale, che si estende per oltre un miglio sull’orlo del lago e, fiancheggiato da altissimi pioppi, offre al passeggero nell’estate ombre soprammodo deliziose e tranquille.

L’incarico di trasformare l’ottagonale rocca quattrocentesca in palazzo, anzi in “Villa” per il cardinale Alessandro Farnese, futuro papa, fu affidato tra il 1513 e il 1514 ad Antonio da Sangallo il Giovane, l’architetto di famiglia: Capodimonte era particolarmente amata da Paolo III che la chiamava la mia cara penisoletta.

Le rocche e i castelli della Tuscia appartenenti alla famiglia Farnese che nel XVI secolo si andavano trasformando in palazzi e ville per la villeggiatura si aprivano al paesaggio con le logge ariose quasi sempre affrescate. Bellissima era la vista che si godeva, al di là delle arcate del nuovo Palazzo, sul lago e le coste, sulle isole e sui profili dei monti.

In occasione della visita di Gregorio XIII nel 1578, si ha notizia di un giardino, dove l’illustre ospite malgrado il vento impetuoso volle recarsi; esso si trovava dalla parte del colle che guarda verso Marta, era ricco di bellissime piante di aranci e di cedri, di varie specie di alberi da frutto e di un lungo pergolato di uva. Le rive erano piene di foltissima et quasi sempre verdi arbori, che vanno fin sopra l’onde, ai quali i pescatori del paese legano spesse volte le loro barchette et vi distendono le reti bagnate.

I giardini fernesiani di Capodimonte erano collegati a una piantata di ulivi e fornivano alla mensa del duca – da una segnalazione di Fabiano Fagliari Zeni Buchicchio – melangoli, visciole, pere, prugne, mandorle e una della pergola.

Grandi alberi e spaziose praterie confinavano con le acque del lago; il lungo viale ombreggiato dei rami arcuati dei filari di pioppi, salici e gelsi ai suoi lati, destava ancora per anni l’ammirazione dei visitatori.

Anche nella vicina Bisenzio, l’antica Visentium estrusca, sulle rive del lago di fronte all’isola Bisentina, nei pressi del castello che era di proprietà di Pier Luigi Farnese, vi era un giardino, detto delle Tre Cannelle, dove si coltivavano buone varietà di alberi da frutto.

Nel 1630 il giardino di Capodimonte viene sempre descritto in posizione amena nei pressi del porto da cui il duca Farnese e i suoi ospiti partivano per andare sul lago e alle isole Bisentina e Martana; al suo interno si trovavano spalliere sempreverdi, pergole di vite, piante di agrumi e alberi da frutta.

Oggi un giardino con alberi monumentali si trova all’altezza della rocca e gira tutt’intorno al Palazzo con il suo disegno “all’italiana” di aiuole di bosso che creano piacevoli angoli, per accogliere al centro i tradizionali tavolini di peperino. Anche le piante esotiche introdotte nell’Ottocento costituiscono un patrimonio arboreo importante: una grande magnolia, un’altissima palma – la sua compagna è morta alcuni anni fa – una bella Sofora del Giappone che chiude con la sua vasta chioma un angolo del giardino e poi oleandri e piante nostrane in quella commistione derivata dall’eclettismo tra XIX e XX secolo, che caratterizza ancora tanti dei nostri giardini.

Dal libro, La Tuscia Paesaggi e giardini

Di, Sofia Varoli Piazza