VITA DA BRIGANTI
Tra un omicidio ed una grassazione i briganti dovevano pur vivere. Vita alla macchia, in continua fuga, da “solenghi” braccati, senza una certezza di arrivare a domani. Questo è spesso ciò che si racconta, assimilando i banditi alle belve selvatiche, più mitiche che reali, che un tempo avranno pur popolato questa terra. D’altronde nell’immaginario collettivo, siffatti personaggi dovevano essere truci e cattivi e probabilmente lo erano.
Nella realtà erano uomini del loro tempo, per niente diversi dagli altri che non se l’erano sentiti di imbracciare un fucile, anche se spesso e volentieri lo avrebbero fatto. Anche i briganti erano contadini e pastori induriti dalla miseria e dalla vita all’aria aperta. Forti e resistenti, poco abituati e certamente poco inclini agli agi, capaci di vivere, o sopravvivere, con le scarse risorse che poteva fornire il loro territorio, che ben conoscevano anche nelle forre più recondite. Certamente erano più guardinghi, meglio attenti a non farsi notare a lungo in qualche posto, circondati da una corte di manutengoli e da una complicità diffusa in tutti gli strati sociali, che spesso li sentivano vittime di una giustizia ingiusta.
Indistinguibili dagli altri frequentatori dei boschi, con gli stessi abiti e le medesime abitudini, percorrevano i malagevoli sentieri delle macchie, spostandosi da un luogo ad un altro per “controllare” il territorio, contattare vari amici, bisbocciare presso un isolato casolare, dove farsi scaldare dal vino e da qualche donnina compiacente.
Certo qualche lusso se lo concedevano, grandi abbuffate di carni arrostite su enormi spiedi, omeriche bevute di vino buono, non l’ “acetello” che dissetava la vita degli altri, sigari enormi e pregiati avuti in “dono” dai signori loro amici, contenti e soddisfatti di avere un deputato alla macchia che manteneva l’ordine sociale e curava i loro interessi dietro un compenso sicuramente meno esoso delle tasse statali. Grandi dormite negli afosi pomeriggi d’estate all’ombra delle querce secolari, in boschi che mai avevano conosciuto l’oltraggio della scure. Sonni comunque leggeri, con l’orecchio teso, pronto a captare qualunque rumore anomalo, foriero di guai. Sonni spesso troppo profondi, alimentati dai fumi del vino, da cui si rischiava di non ridestarsi mai più, per un colpo inferto da propri compagni, stufi di sopportare un complice restio a piegarsi alle regole della banda: Dio in cielo e Tiburzi in terra.
“Sopori” delle serate d’inverno, davanti ad un fuoco gagliardo, che scaldava uno spiedo di cacciagione od una padellata di castagne, con il vino rosso che scorreva inebriante nelle gole assetate. Con le palpebre che lentamente diventavano pesanti ed invitavano al sonno, assieme al canto monotono del compagno che narrava, in ottave sgangherate, le storie romanzate della propria vita o di altri celebri briganti. Storie spesso eccessive, vanagloriose, talvolta beffarde tanto da risvegliare l’orgoglio del vecchio brigante, ormai mitico, descritto fuggitivo ed in mutande. Roba da vendicare con un furioso scambio di revolverate, tanto da far capire che il leone non dorme mai e le storie da raccontare sono soltanto quelle che hanno il “Suo imprimatur”.
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